Kamasutra: l’arte di amare (parte prima)

Di Gianluca Arlati

Se dico la parola “Kamasutra” scommetto che la maggior parte delle persone penserebbe subito e solo a sesso, posizioni strane e sconcerie annesse. In realtà il Kamasutra è molto più di questo. La parte relativa alle pratiche erotiche infatti occupa solo una parte, la seconda per la precisione, delle sette di cui è composto il “Trattato sull’Amore” (così si può tradurre).

In primo luogo, il Kamasutra non tratta esclusivamente dei rapporti sessuali, ma delle relazioni fra uomo e donna nel loro complesso. Nasce, infatti, come trattato con intenti scientifici e educativi, scritto da Mallanaga Vatsyayana intorno al III secolo d.C. per insegnare agli uomini e alle donne ad assumere un comportamento appropriato dinanzi al desiderio e quali direttive seguire per avere una felice vita amorosa.

Il fraintendimento che da sempre accompagna la fama con cui quest’opera ha raggiunto l’Occidente si deve principalmente all’abissale distanza culturale che separa l’India dal mondo occidentale: infatti, se ai nostri occhi il sesso appare ancora oggi quasi come un tabù, in India era inteso già a quel tempo senza alcun disagio o accezione di peccaminosità; anzi, era considerato un’esigenza naturale, di prima necessità:

le attività che riguardano l’Amore hanno la stessa natura del cibo, poiché contribuiscono al sostentamento del corpo (I, 2, 46).

Alla base della composizione di opere che, come questa, trattano dell’amore nella sua totalità, sta dunque una visione benevola della sensualità, ma anche una precisa e accurata analisi del ruolo che essa deve occupare nella nostra vita.

L’inizio e la chiusa del Kamasutra sono suggellati dall’esposizione da parte dell’autore della fondamentale dottrina indù: nel corso della vita terrena ogni uomo è tenuto a perseguire determinati “scopi” (purusartha), essenziali per il benessere proprio e del mondo intero. Essi sono tre, la cosiddetta “triade” (trivarga): dharma, artha e kama.

Con dharma s’intende la Legge sacra che regola l’universo. L’adeguarsi degli uomini all’ordine cosmico da essa stabilito si traduce con l’osservanza delle norme rituali e delle leggi, e con il rispetto dei diritti e dei doveri propri di ogni individuo, diversi a seconda della classe sociale di appartenenza. In parole povere significa uniformarsi a tutto ciò che è ritenuto giusto, in virtù del fatto che si creda che il mondo così è strutturato e così è deve restare. Depositario e interprete per natura di questo “scopo della vita” è il brahmano, la classe sociale più pura di tutte, e brahmano era anche lo stesso Vatsyayana.

L’artha esprime invece l’interesse materiale e la ricchezza. Il sovrano è colui che deve perseguire tale scopo: il suo benessere, infatti, coincide con quello dell’intero regno e dei sudditi. In termini “tecnici” si potrebbe dire che l’artha è il suo dharma personale.

Kama rappresenta in sostanza il desiderio, che può accendersi per qualsiasi cosa venga fatta per diletto e che rechi soddisfazione. Ciò che si brama di più e che reca l’appagamento supremo è il piacere erotico.

Per ognuno di questi tre valori occorre dedicare uno specifico periodo dell’esistenza: l’autore stesso, infatti, proclama che gli scopi della vita siano tutti da perseguire, subordinati fra loro e in modo che non si danneggiano l’un l’altro (I, 2, 1). Preminente è il dharma (la Legge sacra), seguito dall’artha (l’Utile), e infine c’è il kama (l’Amore), quindi è come se gli altri valori facciano in qualche modo parte del dharma universale.

Ulteriore scopo da raggiungere è il moksha, la Liberazione, cioè la liberazione dal samsara, quella serie di rinascite che trattengono l’individuo in questo mondo. Ogni rinascita è determinata dal comportamento osservato durante l’esistenza precedente: più la vita è vissuta secondo i dettami del dharma migliore in termini qualitativi sarà la reincarnazione successiva. Il moksha è tuttavia una meta difficile da raggiungere, riservata a pochi. Prima di tutto è necessario affrancarsi dal vincolo terreno più irresistibile, il kama appunto, in tutte le sue forme. Dato che tali mete spirituali sono riservate solo ai più puri, l’uomo comune che, come il sovrano, è legato al mondo, ha il dovere di perseguire il benessere economico e la felicità dei sensi; questo è per lui il “giusto”, e proprio a lui Vatsyayana rivolge il suo trattato.

E ora l’aspetto più straordinario dell’opera: la donna. Relegata in una posizione di costante inferiorità, considerata essere pericoloso e impuro, dipendente in tutto e per tutto dall’uomo, che deve essere trattato come un dio, secondo un’ideale di dedizione e fedeltà assoluta che non deve mai venir meno. Proprio il fatto che le donne siano indissolubilmente legate all’uomo fa sì che il loro dharma le ponga sempre al servizio dell’Amore: anche nel caso in cui esse non dovessero ricoprire il ruolo di spose, potrebbero comunque acquisire rilevanza sociale come prostitute, di certo colte ed elegantissime, ma avendo sempre ragione di esistere nel kama.

Se l’amore è la sua missione, allora è proprio in questo contesto che la donna acquista assoluta parità con l’uomo, e nell’appagamento entrambi possono reclamare le medesime esigenze. Da questo punto di vista, infatti, il Kamasutra rappresenta l’eccezione: è l’unico trattato che si rivolga direttamente anche a un pubblico femminile, e l’unico che le donne siano apertamente invitate a studiare con profitto.

L’amore inteso dal kama però è puro piacere e soddisfazione del desiderio; la procreazione non è contemplata. Se infatti è ovvio che i figli siano conseguenza del kama, essi rientrano tuttavia nella sfera del dharma, quella dei doveri.

A quanti sostengono che l’Amore avvenga anche tra le bestie, Vatsysyana risponde affermando che l’unione tra uomo e donna è molto diverso da quello animale, brutale: questi infatti non esercitano alcun tipo di scelte intellettiva né hanno strutture sociali da rispettare; tutto ciò che l’uomo compie nel mondo richiede invece un metodo adeguato, e di conseguenza anche un trattato che insegni tale metodo.

Chi invece protesta perché spesso la passione spinge l’uomo ad atti scellerati, che vanno contro la Legge sacra, trova il consenso dell’autore, costretto ad ammettere che certe circostanze portino a trasgredire gli imperativi della Legge perché prive di soluzioni alternative. Il Kamasutra insegnerà allora a trarre il massimo profitto da tali situazioni: rigettarle significherebbe infatti rinunciare a disciplinarle una volta per tutte. Includere invece che rifiutare. Si tratta piuttosto di conoscere le vie giuste per agire, di avere coscienza di ciò che è buono e di ciò che è sbagliato, e delle conseguenze che possono avere alcune decisioni. Lo scopo dell’opera è dunque quello di fornire uno strumento per superare la mera passione, causa talvolta di danni irreparabili. Il trasgressore s’impegnerà poi a rimediare al proprio sgarro compiendo azioni “dharmiche”, oppure sconterà i propri peccati con una rinascita peggiore rispetto alla sua esistenza attuale.

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