The land of the free: nascita e trionfo della potenza mondiale statunitense

Di Riccardo Nissotti

Quando le tredici colonie originarie diedero vita agli Stati Uniti d’America nel 1776 probabilmente nessuno avrebbe immaginato che quelle terre allora remote sarebbero un giorno diventate il centro decisionale del mondo.

L’interesse della madrepatria inglese per i suoi possedimenti d’oltreoceano fu sempre piuttosto scarso. Mentre gli spagnoli promossero nei propri territori l’arrivo di coloni, la cristianizzazione e instaurarono forme di controllo governativo centralizzate, i britannici invece incentivarono la colonizzazione da parte di quei gruppi sociali in fuga dall’Europa perché perseguitati dalla Chiesa e instaurarono forme di governo poco controllate dal parlamento di Londra. Per il governo della Gran Bretagna l’interesse principale era importare dalle colonie materiali non lavorati, per poi eventualmente riesportarli dopo averli lavorati, e trarre gettito fiscale tramite l’imposizione di tasse. Per contro è vero che le colonie di re Giorgio godessero di una maggiore autonomia rispetto a quelle spagnole. Ma proprio questa tassazione fu il motivo del montante malcontento che portò alla rivoluzione: ai coloni non stava bene di essere tassati senza poter mandare i propri rappresentanti a Westminster.

In seguito al raggiungimento dell’indipendenza, la nuova nazione si avviò verso un’espansione territoriale, demografica ed economica di portata mastodontica. Dalle tredici originarie colonie iniziò una conquista del West che rese disponibili un’immensità di terreni fertili. L’immigrazione dal Vecchio Continente fece crescere rapidamente la popolazione e diede all’agricoltura e alla nascente industria mano d’opera a basso prezzo. La tanto (forse anche troppo) proclamata libertà americana era un’attrazione per tutti coloro che in Europa non trovavano possibilità di realizzazione. Nel 1848 una scoperta di un filone aureo in California scatenò la cosiddetta corsa all’oro. Dal 1776 trascorsero solo settantadue anni perché dai tredici stati iniziali si arrivasse ad occupare praticamente lo spazio che tuttora costituisce gli Usa.

Tra il 1800 e il 1900 la popolazione degli Stati Uniti crebbe da 5 a 76 milioni di abitanti. L’immigrazione registrò un boom dagli anni ’40 dell’Ottocento (1.713.251 dal ’41 al ’50) e continuò a crescere fino a toccare il picco di 8 milioni di immigrati negli anni tra il 1901 e il 1910.

L’espansione verso ovest faceva sì che lo spazio non mancasse. Nuove terre erano continuamente messe a coltura generando posti di lavoro e un surplus produttivo da vendere. La costruzione di grandi opere pubbliche (soprattutto ferrovie) trainò l’economia, come anche la scoperta delle ricchezze del sottosuolo: carbone, ferro, oro e petrolio.

Non sazi delle ricchezze patrie, gli americani seppero trovare fortuna anche nel resto del mondo. Gli investimenti americani avevano comprato piantagioni in tutta l’America latina. Nella sola Cuba, gli statunitensi possedevano i due terzi delle piantagioni. La flotta americana, dopo la vittoria sulla Spagna che aveva fruttato il controllo delle Filippine, cercò sbocchi anche in estremo oriente, trovando terreno fertile in Cina.

Quando la prima guerra mondiale rovinò le già declinanti potenze europee, gli Usa, che non avevano subìto danno alcuno grazie alla difesa geografica dell’oceano Atlantico, emersero come prima potenza mondiale. Un ruolo che andarono consolidando negli anni successivi, nonostante la grave crisi economica del 1929.

Nei primi anni ’40 l’Europa fu distrutta dal secondo conflitto mondiale. Gli Usa non solo seppero rispondere positivamente alle richieste di armi e vettovaglie degli alleati francesi e inglesi, ma uscirono dal conflitto senza avere una singola infrastruttura danneggiata. Alla fine degli anni ’40 gli Stati Uniti detenevano il 50% della produzione industriale mondiale, ed esportavano un terzo delle merci esportate da tutti i paesi del globo.

L’America si apprestava a combattere la guerra fredda con una potenza militare enorme: sebbene la sua fanteria fosse di dimensione inferiore a quella sovietica, gli Usa disponevano delle migliore e più grande flotta e aviazione. L’Europa occidentale inoltre era (ed è ancora) strettamente legata da una forte alleanza militare con gli Stati Uniti.

Negli ultimi settant’anni gli investimenti americani hanno raggiunto tutto il globo. Esportazione ed importazione di manufatti da Giappone, Cina, sud-est asiatico; petrolio dal Golfo Persico; capitali nelle banche europee.

Una grandezza ed una prosperità economica che, dopo la caduta della rivale Urss nel 1991, hanno portato alcuni teorici (Francis Fukuyama su tutti) a formulare la suggestiva ipotesi di una “fine della storia”, intendendo con questa affermazione il fatto che il modello economico–culturale americano ha raggiunto una diffusione e una penetrazione tale in tutto il mondo tale da non poter essere più scalzato da nessun altro.

Negli ultimi anni abbiamo però assistito a diversi episodi che sembrano confutare questa tesi: gli attacchi dell’11 settembre 2001 ci hanno rivelato quanto l’inviolabilità del suolo americano sia un mito sfatato, mentre la grande crisi bancaria del 2008 ci mette in guardia sui rischi del sistema del mondo occidentale incardinato sull’America e sulla sua idea di capitalismo. Recentemente, poi, la crescita inarrestabile del gigante cinese sembra poter dare vita a un sistema economico e valoriale radicalmente diverso da quello incarnato dagli Stati Uniti.

L’America, quindi, se vuole sopravvivere come prima potenza mondiale, deve trovare dentro di sé le forze e le idee sufficienti per opporsi a tali nuove minacce alla sua supremazia, ripensando alcuni suoi valori e correggendo alcuni squilibri del suo sistema economico.

In un contesto in continua evoluzione come quello attuale, è difficile prevedere se il vecchio gigante riuscirà a mantenere il suo dominio sul mondo, o se esso verrà scalzato da altre potenze nascenti; guardando gli eventi attuali da una prospettiva filosofica, però, solo una cosa appare certa: la ruota della Storia ha ripreso a muoversi.

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