Di Giovanni Marabese
Dal luglio 2013 Usa e UE stanno discutendo il Translatlantic Trade and Investment Partnership, che potrebbe consentire l’accesso di prodotti rischiosi per la salute dei cittadini europei. E l’alone di segretezza che sta attorno a questo trattato non può che farci preoccupare.
Dai tempi della CEE fino all’odierna UE, i prodotti hanno iniziato a circolare in modo più o meno libero tra i paesi membri dell’Unione del nostro continente; questo è stato favorito da una serie di norme e direttive che hanno cercato di accomunare standard di produzione un po’ ovunque.
Oggi però si profila un cambiamento radicale nel commercio e nell’economia mondiale.
Ma che cos’è il TTIP?
Prima di tutto stiamo parlando di un accordo commerciale tra Stati Uniti e Europa, pensato per eliminare i costi transattivi e i dazi commerciali. Questo favorirebbe di certo le esportazioni, anche dal nostro paese: formaggi, pasta e prodotti tipici potrebbero ritrovarsi molto più agevolmente dall’altra parte dell’Atlantico, dando un forte impulso alla nostra economia.
Come detto sopra, in Europa c’è già un principio di libero scambio, mentre con gli Stati Uniti il rapporto è oggi un po’ più complicato.
Il fatto è che i due paesi hanno due idee di sicurezza alimentare molto diverse. Nel nostro continente vige il principio di precauzione: se ho dubbi sulla salubrità di un prodotto, aspetto che la comunità scientifica lo confermi o lo smentisca, prima di metterlo sul mercato. Negli Stati Uniti avviene il contrario, perché si accetta il rischio: posso mettere un prodotto in commercio, poi in futuro la comunità scientifica dirà cosa ne pensa; ma, intanto, è disponibile nei supermercati.
Per dare un’idea delle differenze, due esempi.
Negli Stati Uniti è usuale iniettare ormoni della crescita ai bovini e avere così una produzione di carne maggiore. Negli anni ’80, il tentativo degli USA di esportare questa carne è fallito poiché l’Europa ne ha negato l’accesso nel mercato dell’Unione per una questione di tradizione.
Gli Stati Uniti hanno messo dei dazi ai prodotti Europei come contro misura, ponendo in seria difficoltà la possibilità di esportare nel nuovo continente.
Questo vale ancora oggi: nel frattempo è stata creata una filiera di carne “Hormone-free” apposta per il mercato europeo.
Le colture OGM per uso alimentare in Europa sono etichettate e sembrerebbero, ad oggi, limitate al Mais MON810 della multinazionale Monsanto, coltivato perlopiù in Spagna.
Negli Stati Uniti gli OGM sono diffusi soprattutto nella “Corn Belt”, la cintura di monocolture di granturco situata nel cuore dell’America, dove non c’è distinzione tra una coltura OGM e una convenzionale, tanto che non c’è obbligo di mettere su etichetta il metodo di coltivazione con cui si è ottenuto il prodotto.
Questo è il principale problema, e riguarda gli standard di sicurezza. Mentre l’Europa ha degli standard alti in tema di sicurezza alimentare, gli Stati Uniti, al contrario, hanno un approccio più liberista e orientato al mercato.
E qui è utile farsi una domanda: ma com’è possibile aprire le frontiere l’uno con l’altro, se i nostri standard non ammettono certi tipi di alimenti? Sarà più facile che gli Stati Uniti rivoluzionino la loro filiera alimentare per renderla sicura come la nostra, o saremo noi a doverci adattare all’ingresso libero di carni agli ormoni e organismi geneticamente modificati? Penso che la risposta sia ovvia a tutti. Se omogeneizzazione dovrà essere, sarà verso il basso –quindi verso lo standard più basso, e non quello più alto-, poiché la stessa omogeneizzazione verso standard elevati vale come costo transattivo.
Il Parmigiano è uno dei prodotti italiani più falsificati sul pianeta: Parmesan, Parmegiano, Pampeano, Reggianito, Parma Cheese, sono solo alcuni nomi con quali produttori di tutto il mondo lucrano con il nostro formaggio; un fenomeno divenuto famoso come ‘Italian sounding’, che comprende tutta quella gamma di prodotti a cui viene dato un nome che richiami il nostro paese, e quindi un’etichetta inconscia di “cibo buono”.
Con il TTIP, se brutte copie dei nostri alimenti facessero il loro ingresso nei supermercati sovrastando i nostri prodotti artigianali e l’economia nazionale, a parte il disastro economico, nessuno potrebbe appellarsi all’Unione Europea perché se l’accordo prevede il libero scambio, questo va rispettato.
L’Italia – e l’Europa – tutta vive di tradizioni, anche millenarie. Le stesse tradizioni che non possono esserci in un paese come gli Stati Uniti, che esiste da meno di tre secoli e che dagli anni trenta del Novecento è passato per la maggior parte alla monocoltura in campo agricolo.
C’è bisogno quindi di una distinzione e l’Unione europea necessita di fare un passo indietro: due paesi così diversi sul piano alimentare possono sì collaborare, ma non è fattibile che gli standard di sicurezza si appiattiscano verso la mediocrità.
Ne va del “Made in Italy”, ne va della nostra libertà di scelta e ne va, soprattutto, della nostra salute.